giovedì 13 dicembre 2012

CAOS DENTRO: IL GIORNO DOPO IL SISMA


6 Aprile 2009, h 3.32, L’aquila.
La terra trema con una potenza devastante: 5.9 della scala Richter. Trenta secondi di puro terrore mentre la popolazione, svegliatasi di soprassalto, tenta di salvarsi e di evacuare le proprie case. Immediate sono le operazioni di soccorso messe in atto non solo dai vigili del fuoco e dalla protezione civile, ma anche di coraggiosi volontari tra cui spicca l’eroe dell’Aquila rugby Lorenzo Sebastiani, che morirà sotto le macerie durante i soccorsi.

Intere frazioni come Onna e Fossa, entrambe in provincia dell’Aquila, sono completamente rase al suolo. Il bilancio della tragedia è devastante: la provincia è in ginocchio, paesi interi sono distrutti, i feriti sono circa 1178, di cui 200 gravissimi portati in ospedale d’urgenza, e i morti ammontano a 309. Alcune persone vengono estratte dalle macerie solo molte ore dopo come la studentessa Marta Valente, 24 anni, tratta in salvo dopo 23 ore da sotto i resti della casa dello studente, oppure la signora Maria D’Antuono, 98 anni, salvata dopo 30 ore, la quale ha dichiarato di aver trascorso tutto il tempo a lavorare all’uncinetto.

I funerali sono stati celebrati il 10 di Aprile, di venerdì santo. Alla funzione hanno partecipato le più alte cariche dello stato. Qualche tempo dopo si è svolto nel capoluogo abruzzese il G8 a cui hanno partecipato i più potenti uomini della terra, tra i quali il presidente americano Barack Obama. Quest’ultimo è rimasto colpito dalla rovina presente all’Aquila, che non solo ha l’aspetto di una città ferita da una grave catastrofe, ma il cui dolore è stato spettacolarizzato e usato per aumentare la propria visibilità agli occhi delle altre nazioni e dei media. Molti dei sopravvissuti sono stati portati in hotel situati sulla costa a spese dello Stato in modo da avere un tetto sulla testa, ma i meno fortunati sono stati costretti ad ammassarsi nelle tendopoli che sorgono ovunque in tutte le provincie d’Abruzzo.

Dopo un anno, al freddo, con l’igiene a livelli minimi e il poco cibo che viene servito dagli angeli della protezione civile e dai volontari giunti da tutta Italia, coloro che vivono in queste condizioni precarie decidono di andare a manifestare direttamente a Roma, guidati dal sindaco dell’Aquila e da altre importanti autorità abruzzesi, per dare voce alle loro proteste legittime, dato che lo Stato si era impegnato a sgombrare le tendopoli al massimo nel giro di un anno. A Roma, però, il corteo viene fermato e caricato dalla polizia e i manifestanti vengono presi a manganellate. Tra i feriti figura proprio il sindaco dell’Aquila.

Il senso di delusione e amarezza che si diffonde dopo l’episodio è profondo: lasciati a loro stessi, i terremotati decidono di non aspettare più i comodi del governo e alcuni di loro decidono di comprare un’abitazione a loro spese e andarsene dalle tendopoli. Alcune case di legno vengono fornite dallo stato, ma sono piccole e quasi mancano dei comfort più basilari. Molti si accontentano, ma altri invece decidono di rimanere nelle tendopoli o negli hotel. E qui sorge un altro problema: i proprietari degli alberghi sono preoccupati. Chi pagherà il conto dei “clienti”? Quando si potranno rendere gli hotel nuovamente agibili? Nessuno lo sa.

Nei primi tempi si erano fatti raccolte, concerti e collette che hanno aiutato la provincia a sollevarsi un po’, ma non è bastato. Quando l’ “effetto novità” è passato e la situazione ha perso visibilità mediatica è scomparsa l’informazione e con essa sono scomparsi gli aiuti della gente. Già dopo un anno dal sisma non si pensava più tanto al terremoto, che aveva scatenato una vera e propria psicosi, aumentata dai media. Si diceva “ci penserà lo Stato, ha promesso di occuparsene, non è affare mio”. E si andava avanti. Ma a quasi tre anni dal sisma alcuni dei terremotati si trovano tutt'ora in quegli alberghi. L’unico aiuto concreto che lo Stato ha dato è stato il cosiddetto “Decreto Abruzzo”.

Questa è ed è stata la situazione degli ultimi anni. La domanda di base a cui spero che qualcuno riesca a rispondere è: c’è qualcuno che dopo due anni e mezzo si ricorda ancora della tragedia che ha colpito l’Abruzzo, che si rende conto che c’è ancora gente costretta a vivere nelle tendopoli? Qualcuno che si chieda ogni tanto se può fare qualcosa? La risposta per almeno il 70% degli italiani è no. Perché ai nostri giorni tutte le cose vanno di pari passo e anche la solidarietà si è dovuta adeguare: va di pari passo con lo share televisivo.


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